Inutile aspettarsi la storia di Mosè da Romeo Castellucci. Piuttosto l'esaltazione del concetto che il personaggio rappresentò e rappresenta tuttora: Mosè come speranza per il futuro, come passaggio dalla vita animale a quella umana, attraverso la macchina che trita le apparenze, forse Dio. Il velo di Maia steso sottilissimo innanzi al palco e sul quale passano versetti biblici alla fine è la tela del primo uomo (anzi della prima donna) che disegna se stessa scoprendo l'arte, vera natura umana disgelata e nuovo inizio. La separazione tra l'essere primitivo non razionale all'essere che chiede aiuto: l'uomo moderno. Fu generato davvero nello spettacolo il bambino Mosè? O era una rappresentazione di una anonima madre costretta a partorire in un fetido bagno e ad abbandonare in un cassonetto il nascituro? Questo è il legame da considerare: la disperazione assoluta, cosmica, dell'abbandono e della perdita vista oggi e nella pre-storia. Poco importa se il titolo richiama un gospel americano ché si rifà al versetto di Esodo 5:1 oppure se era un sogno/intrusione dimensionale di una malata che esegue la TAC. L'importante - come nella scena dell'interrogatorio al commissariato o nella sublime rivisitazione dell'alba dell'uomo - è che la madre stia in silenzio.
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mercoledì 14 gennaio 2015
domenica 8 giugno 2014
I capolavori: "Le meraviglie" di Alice Rohrwacher.
Spoiler: attenzione! Se continuate a leggere potreste scoprire la trama del film.
Il film Le meraviglie di Alice Rohrwacher che ho visto al cinema ieri sera è il racconto dell'unico destino che può avere una casa di campagna, ridotta a pezzi e morente nella campagna. Questa è l'unica interpretazione del film poiché la storia apparente è quella di una famiglia dei nostri tempi o degli anni Ottanta costituita da un padre tedesco che parla male italiano e una madre francese che parla tedesco e italiano e delle loro quattro figlie: hanno scelto l'abbandono della civiltà e del mondo moderno a favore del duro lavoro campagnolo. E' la storia della primogenita di queste, Gelsomina, e della sua amena vita tra la cura delle api con il padre e la vita agreste e delle sue prime pulsioni di allontanamento da quella vita dura e sempre uguale, afflitta dalle insofferenze della madre a proposito del padre. Compare ad un certo punto un ragazzo tedesco che non parla mai e che invece sa fischiare. Gelsomina, attratta dal giovane nel suo primo impulso giovanile ma soprattutto fiduciosa che partecipare ad un programma televisivo di provincia (la storia si svolge nelle campagne della Tuscia) potrebbe ribaltare le avverse sorti economiche della sua famiglia, fa scomparire il giovane sull'isoletta del lago dove si svolge la trasmissione, facendo arrabbiare - ma anche preoccupare - il padre. Apparentemente si conclude con la rappacificazione dei due: Gelsomina sembra tornare a casa e trova tutti a dormire in un letto fuori casa: il padre le dice che c'è posto anche per lei. Ma è solo un'apparenza: la camera ruota nel visualizzare la campagna e al posto del letto c'è una rete vuota e tutto è scomparso, la gente, le cose che avevano contraddistinto la vita di quelle persone, come fossero mai esistite. Ecco qui il salto della regista: non sono loro ad essere importanti ma è la casa, che rimane la stessa svuotata delle suppellettili, con le camere vuote e una tenda lacera che svolazza. Era un sogno? Era il sogno della casa. Da sottolineare la grande bravura (una volta tanto) di Monica Bellucci nella parte della presentatrice di una televisione privata che introduce il concorso dal quale viene fuori una piccola scena deliziosa: Gelsomina che duetta con il giovane tedesco il quale, mentre fischia, fa sì che dalla bocca della giovane escano - vive - delle api.
Il film Le meraviglie di Alice Rohrwacher che ho visto al cinema ieri sera è il racconto dell'unico destino che può avere una casa di campagna, ridotta a pezzi e morente nella campagna. Questa è l'unica interpretazione del film poiché la storia apparente è quella di una famiglia dei nostri tempi o degli anni Ottanta costituita da un padre tedesco che parla male italiano e una madre francese che parla tedesco e italiano e delle loro quattro figlie: hanno scelto l'abbandono della civiltà e del mondo moderno a favore del duro lavoro campagnolo. E' la storia della primogenita di queste, Gelsomina, e della sua amena vita tra la cura delle api con il padre e la vita agreste e delle sue prime pulsioni di allontanamento da quella vita dura e sempre uguale, afflitta dalle insofferenze della madre a proposito del padre. Compare ad un certo punto un ragazzo tedesco che non parla mai e che invece sa fischiare. Gelsomina, attratta dal giovane nel suo primo impulso giovanile ma soprattutto fiduciosa che partecipare ad un programma televisivo di provincia (la storia si svolge nelle campagne della Tuscia) potrebbe ribaltare le avverse sorti economiche della sua famiglia, fa scomparire il giovane sull'isoletta del lago dove si svolge la trasmissione, facendo arrabbiare - ma anche preoccupare - il padre. Apparentemente si conclude con la rappacificazione dei due: Gelsomina sembra tornare a casa e trova tutti a dormire in un letto fuori casa: il padre le dice che c'è posto anche per lei. Ma è solo un'apparenza: la camera ruota nel visualizzare la campagna e al posto del letto c'è una rete vuota e tutto è scomparso, la gente, le cose che avevano contraddistinto la vita di quelle persone, come fossero mai esistite. Ecco qui il salto della regista: non sono loro ad essere importanti ma è la casa, che rimane la stessa svuotata delle suppellettili, con le camere vuote e una tenda lacera che svolazza. Era un sogno? Era il sogno della casa. Da sottolineare la grande bravura (una volta tanto) di Monica Bellucci nella parte della presentatrice di una televisione privata che introduce il concorso dal quale viene fuori una piccola scena deliziosa: Gelsomina che duetta con il giovane tedesco il quale, mentre fischia, fa sì che dalla bocca della giovane escano - vive - delle api.
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