venerdì 3 aprile 2009

Le due torri

Parafrasando il titolo del noto epico libro, vorrei ricordare che mi sono svegliato impauritissimo alle due e trenta stanotte: ho acceso la luce e ho visto tutto verde. Poi l'ho spenta di nuovo ed ho continuato a dormire. Non ricordo l'incubo ma so essere davvero pauroso. Il sogno grande successivo si è svolto tutto insieme anche se manca il preambolo. Con una auto, che prima era un monopattino, mi dirigevo col mio amico Iv* alla ricerca di un professore ignoto di un ospedale, verso quello che era il quartiere residenziale dove egli abitava, nella mia Città. Siamo entrati in una stradina molto stretta (solo per un'auto) completamente fatta di mattoncini ocra sia per terra che sulle pareti, molto alte. Ogni tanto c'era uno slargo in cui, se arrivava un'altra automobile, si poteva passare purché una delle due accostava a lato; ogni tanto un'albero striminzito. Non si riusciva a vedere oltre le mure ma sapevo che ci dovevano essere delle bellissime case senza nessuno che vi abitasse. Al primo (o forse al secondo) slargo abbiamo accostato la macchina e siamo scesi, tentando di comprare in un negozietto, nascosto nel muro e scorto in ultimo, alcune cose da mangiare per portarle a casa del professore. Iv* ha preso un'anguria molto grande, quasi quanto un'otre, ponendola dentro un sacco di juta liscio, grigio. E' uscito il gestore del negozio che ci ha detto che avrebbe pensato lui a sistemare l'anguria, così ha tolto la buccia e tutta la polpa rossa (sempre grande quanto un'otre), l'ha posta dentro un enorme sacco di carta, con un vassoio di cartone sul fondo. Siccome colava io e il mio amico ci siamo sbrigati ad andarcene ma, non trovando il professore, ci siamo detti che saremmo andati ad una festa, visto che si stava facendo sera. A piedi siamo tornati indietro, poiché l'auto in realtà si era trasformata in una bicicletta e siamo arrivati all'inizio della via stretta trovando due torri costruite per un mega-party rave: una era scura e fatta di ferro, riservata agli uomini e l'altra era tutta rosa e riservata alle donne. Mentre Iv* scompariva fra la gente con le cose da mangiare e la bustona contenente l'anguria io decido di salire sulla torre per i maschi. Per entrare bisognava essere completamente nudi e arrampicarsi fino a circa venti metri da terra ed entrare attraverso una porta con il rischio di cadere di sotto. Io provai, altri si stavano arrampicando, ricordo i corpi tra il rosa e color carne visti da dietro, non molto regolari con il sedere grabnde quanto lo stesso tronco del corpo. Arrivato alla porta mi sono appeso ad un'asta a mo' di traversa e mi sono dondolato, nel tentativo di entrare. Per sicurezza avevano previsto alcuni uomini con delle funi per evitare che si cadesse di sotto. Feci quella manovra lanciandomi e ci riuscii. Entrato dentro ero arrivato terzo in quella che era una gara di sei. All'interno c'erano tante luci e sei predelini su un tavolo sui quali dovevamo stare poiché alla fine ciascuno sarebbe stato premiato e avrebbe proiettato un video con un proiettore posto ciascun sedile. Non c'erano teli sui quali proiettare alcun video ma enormi finestrate. Io mi arrampicai e intuii che gli altri arrivati erano tutti gay: infatti era un locale gay al quinto piano della torre. Una volta montato sul mio posto sopra il tavolo, sentii che era barcollante e caddi in avanti senza farmi male e salvando dalla caduta il proiettore stesso e il sedile. Tutti mi guardavano ed io dissi: "Non preoccupatevi: non è successo nulla!". Altra gente stava entrando dalla porta: il locale non era pieno e, dall'alto, le ampie vetrate facevano solo sentire rumori di persone poiché non si vedeva nulla in quanto notte o, meglio, si scorgeva qualcosa di sotto, come un idefinito paesaggio brullo. Elementi coscienti: la visita eseguita ieri dal professore di ortopedia (un signore sui sessanta che mi è sembrato vecchio stampo e che, alla fine, ha consigliato un ciclo di dieci terapie di 50 euro ciascuna); ho incontrato Iv* a Ikea ieri sera che mi ha detto una novità positiva di un problema serio; è arrivato il catalogo della D-Mail con un attrezzo capace di pelare un melone. Sono sicuro di aver visto dall'alto, nel sogno, il paesaggio del territorio dove non dovrei andare mai.

giovedì 2 aprile 2009

In aliter/1 (संभावना)

मैं हमेशा जिंदगी की सबसे अच्छी इच्छा / कभी कभी मैं सिर्फ अंधेरा पाया / लेकिन मुझे पता है कि मैं एक रोशनी पर बदल सकती
["Possibilità". Ho sempre desiderato il meglio della vita / Qualche volta ho trovato solo il buio / Ma so che avrei potuto accendere una luce]

mercoledì 1 aprile 2009

La bambina e il ladro

Stanotte ho dormito di fila, nonostante un dolore fisso alla cervicale e al mal di testa, fino alle sei e un quarto quando sono stato svegliato da un sogno terrificante. Il preambolo che posso ricordare è che me ne stavo in compagnia con mia nipote quando aveva tre o quattro anni, con un bel completino rosa ricamato fatto da mia madre. Aveva appena mangiato un gelato e gli faceva male la pancia. Io le dico che non deve proccuparsi per il pancino e la prendo in braccio con me e ci mettiamo seduti davanti alla televisione in un appartamento che non conosco: era tutto marrone come tinta e c'erano dei puff in pelle di cuoio, un tappeto e della carta alle pareti. In fondo c'erano due porte chiuse che facevano angolo con la parete. Sento con la mano che ella ha un bozzo sulla pancia all'altezza dello stomaco e le faccio un massaggio rassicurandola. Mentre guardiamo la televisione sento che qualcuno apre la porta del bagno chiusa a chiave. In quell'attimo mi rendo conto che non poteva esserci nessuno in casa e poi perché la stanza da bagno era chiusa a chiave? Chi l'aveva aperta? Si accende la luce e compare un uomo mai visto che si avvicina non a noi ma verso il televisore; il suo viso assomiglia a quello di un ragazzo che frequentavo anni fa ma la sua corporatura era gigante. Mi dice qualcosa ma non lo capisco, allora con la ragazzina in braccio (che ne frattempo si è trasformata in una nipote del mio amico Iv*, mi alzo e vado verso la porta di casa perché penso sia un ladro ma non posso aprirla perché è chiusa a chiave. Apro la serratura che fa quattro scatti ed esco, mentre il ladro non fa segno di avvicinarsi e apparentemente ci lascia andare. La bambina è spaventata per me, non per la situazione. Esco di casa e grido "Aiuto!" molto forte. Mi sveglio gridando "Aiuto!". Elementi razionali sono il fatto che in questo periodo Iv* ha qualche problema serio in famiglia e proprio ieri ho parlato al telefono con la nipote senza averla mai vista. Io credo che quello che chiamo ladro sia qualcuno che volesse comunicarmi qualcosa, come spesso i miei sogni di terrore han manifestato. Ricordo che c'era anche il numero 15 e il 3 ma non identifico in che situazione e perché. Non sono più riuscito a prendere sonno.

lunedì 30 marzo 2009

Il ritorno della lucertola e invasioni

Forse sarebbe opportuno che scrivessi un elenco di microsogni, cioè di sogni brevissimi che si fanno a raffica di notte e che non solo durano poco ma hanno anche una storia compiuta. Uno di questi segue il sogno di stanotte principale che mi ha svegliato alle 2 e trenta. Stavo controllando dei piani di invasione aliena che ho trovato inavvertitamente sul tavolo. Mi rendo conto che gli alieni sono già tra noi e sono come noi; i piani di invasione sono dei cerchietti blu e gialli tra loro connessi. Noto che uno di questi schemi porta proprio a casa mia. Penso che alcune delle persone che mi circondano sono di un'altro pianeta e vedo tutto il gruppo dirigente del nuovo PdL. So che sembra molto scontato ma mi ha fatto svegliare angosciato e impaurito. Per cui mi alzo, bevo e mi rimetto a letto. La sveglia è alle sei: ho l'aereo per Brindisi. Il microsogno seguente è questo. Io e P*, appena conosciuto dal vivo ieri, siamo sul divano ed io osservo che sul tavolinetto luminoso ricompare la lucertola scomparsa qualche settimana fa. Io dico a P* "Guarda, la lucertola è tornata!" e lui sorride. Tralascio gli altri microsogni. Un elemento razionale che mi ha portato a sognare la lucertola è stato che P*, prima di andar via, ha visto sul tavolo il posacenere in cui sono adagiati alcuni insetti di ottone e in quel momento ho avuto un m oto di affetto per la lucertola; inoltre gli ho parlato di come la nascita del PdL abbia rappresentato per me un senso di preoccupazione per la realtà politica italiana e non di novità.

sabato 28 marzo 2009

Rapimenti e appuntamenti

Insomma, continuo a svegliarmi di notte. Verso le due e trenta avevo un'arsura senza pari e sono andato a bere dell'acqua. Avendo il letto a soppalco ogni volta mi pesa scendere e poi salire; questo non ha impedito che mi riaddormentassi e così ho sognato ma solo verso le sei e trenta. Ho avuto uno dei peggiori miei incubi: ero a passeggiare nella Città Immaginaria con mio fratello, mia cognata e mio nipote da piccolo. C'era molta gente sul ponte che portava ai negozi (la mia città è sempre sottoterra o comunque coperta) e stavo guardando un giocattolo con il piccolo accanto. Ad un certo punto non lo trovo più e lo chiamo ad alta voce ma nulla. Così avverto mio fratello e mia cognata i quali non fanno altro che chiamarlo a loro volta ed io lo cerco fra la gente la quale mi guarda arrabbiata; alcune facce si trasformano in mostri e mi sembra di aver chiesto a tutti se lo avevano visto. Lo chiamo, lo chiamo ma niente e mi sono svegliato angosciato e disperato, chiamandolo per nome: io sono terrorizzato dai bambini che scompaiono o sono vittima di malintenzionati, ne soffro tantissimo e la cosa non mi fa davvero dormire. Così sono stato a piangere un po', ho ripreso fiato e finalmente verso le sette e mezzo mi sono riaddormentato. Siccome questa mattina avevo appuntamento con Ant* per andare da Ikea in quanto doveva comperare una libreria, ho ripreso gli stessi luoghi del sogno precedente, questa volta entrando in una casa che ho scoperto essere quella di mia madre. Chiamavo per telefono però non lui ma il mio amico P* di Milano, che è stato a roma la scorsa settimana. Mi risponde al cellulare e mi dice che mi sta aspettando. Io corro in camera di mia madre per dirle che sto uscendo ma la camera è un'immenso mercato all'aperto dove c'è molta gente ma i mobili sono ripetizioni cicliche dei mobili della camera vera di mia madre la quale era sepolta sotto tonnellate di tessuti e ricami e mi rispondeva che dovevo sbrigarmi. Attraverso tutta la camera all'esterno e mi ritrovo su una strada dove non passano automobili. Il cellulare squilla ed io penso di non rispondere. Mi sono svegliato ma stavo meglio del sogno precedente. Elementi razionali oltre l'appuntamento: ho conosciuto una persona che si chiama proprio come il mio amico di Milano. Oltre questo, nient'altro.

mercoledì 25 marzo 2009

Palazzo rosso e anni Cinquanta.

L'Hotel Mediterraneo si trova al centro di Catania e ci vado così spesso da aver diritto ad essere un visitatore con "portachiavi" cioè al quale assegnano sempre la stessa stanza, come se fosse una dépendance. La mia camera è la 506 da anni e si trova al quindo piano. Ci dormo sempre male ma meglio di altri alberghi perché il letto è troppo duro e a volte sento freddo ma la cosa più antipatica è la doccia con la cipolla che non emette gocce ma solo uno spruzzo tipo aerosol, per risparmiare acqua. In compenso è abbastanza ricco in accesori e la colazione è decente (non c'è ristorante). Ogni volta guardo il satellite in televisione e ieri sera ho visto circa dieci minuti di programmi soffermandomi un minuto a vedere un documentario su alcuni disastri in cui c'era un palazzo a Manila che si era inclinato e, alla fine, è caduto su un altro palazzo. La cosa, stranamente, si è manifestata in uno dei miei sogni, dico stranamente perché gli ho dato molta attenzione (ricordo l'urlo di una signora quando questo si è accasciato) e la cosa è andata così: mi trovavo in un palazzo della mia Città Immaginaria (fatta solo di case e palazzi) tutto rosso. Inizialmente diritto e orizzontale. Camminavo su e giù come se fosse casa mia. Ad un certo punto io e mia sorella usciamo ma devo rientrare per prendere una cosa e mi accorgo di dover salire perché il palazzo è inclinato, per cui cerco di arrampicarmi ma scivolo, non ce la faccio, mi accorgo anche di stare a camminare sul soffitto ma niente, mi abbatto stanco per terra. Così arriva lei con uno scatolone e dice che quella è la nostra automobile e ci serve per uscire. Ci salgo assieme a lei disteso su un fianco ma poi considero che forse, per guidarla, è meglio che mi metto seduto. Così lo scatolone si trasforma in un'auto e parte. Andiamo via assieme dal palazzo che rimane inclinato ed è tutto rosso. L'automobile-scatolone è color cartone. Mi sveglio senza respiro perché mi ero addormentato a pancia sotto abbracciando un cuscino che premeva sullo stomaco e sui polmoni. Riesco a prendere fiato e poi cerco di addormentarmi a fatica (in totale ho dormito 9 ore). Uno degli altri sogni che ricordo invece è durato pochi istanti: ho fatto il calcolo che mio padre, quando aveva vent'anni, doveva essere nel 1957 e penso che sia lui sia mia madre si sono goduti i loro anni di gioventù in un periodo bellissimo dell'Italia, appunto gli anni Cinquanta. Mi metto a piangere per la contentezza e mi sveglio piangendo.

martedì 24 marzo 2009

La passione della casetta.

Il primo sogno di cui posso ricordare la potenza è stato durante l'asilo ma identifico la scuola con quella delle elementari. Nella scuola dove andavo, dalle monache, c'era una casetta per le bambole, di quelle belle e grandi, apribili su un lato, come si vedono nei negozi da collezione. Io non potevo toccarla perché era riservata alle bambine e, a dire la verità, non mi piaceva giocarci con le bambole ma rifugiarmici all'interno per vivere fra i mobili, come una bambola e, ovviamente, non potevo farlo, anche se avevo la stessa altezza. L'identificazione di me come pupazzo non si è poi più manifestata. Dunque, la casa mi sembrava enorme, viste le proporzioni del mio corpo e una notte sognai di essere all'interno di questa e di usare le stoviglie, il letto, come se fossero reali. Ricordo tutto della casa, persono i tenui colori pastello. Ad un certo punto mi sento crescere e diventare grande, esco dalla casa come poi vidi tanti anni dopo Alice che nel cartone animato cresceva ed usciva dalle finestre ma io non mi ci incastrai nel mezzo come il personaggio e ne fui buttato fuori, come se fossi stato partorito. Così abbracciai forte la casetta tenendola a me mentre una forza mi portava via, separandomi da essa. Mi sono svegliato piangendo ed abbracciando il cuscino, poi non ricordo più nulla se non il candore di quel cuscino bianco e il suo profumo di pulito. Forse un ritorno all'utero materno? Il sogno segue un episodio vividissimo accaduto a circa tre anni, che ricordo ancora, saran passati più di quarantuno anni: mia cugina Annarita mi portava a fare le passeggiate in campagna da mio nonno e un giorno uscimmo dopo che ebbe piovuto. Ella trovò un vassoietto di cartone, di quelli per le pastarelle, e mi disse che avremmo costruito una casetta. Prese dei pezzi di mattone e, con l'aiuto del fango, costruì una piccola abitazione con il vassoietto come tetto. Io la osservai così a lungo che mi innamorai di quella casetta. Ho l'immagine non solo di essa ma anche del posto, delle gocce dell'acqua, del sole e della sensazione di bagnato che dà la campagna. Dentro di me so che tornerò in quel posto primo o poi. In seguito, la prima volta che visitai New York capitai nei pressi della 50ma strada ed entrai in un negozio di collezionismo che vendeva solo casette delle bambole e accessori. Non c'era quella del sogno ma alcune simili. Stetti le ore lì dentro ma non ebbi il coraggio di comprare nulla anche perché in quell'epoca non avevo soldi. Come un fiume però mi tornò in mente tutto e decisi che un giorno mi sarei comperato la mia e infatti, durante il Natale del 1998 mi son permesso una casetta tutta mia della Playmobil, pagata un capitale e, durante il Capodanno, passai tutta la notte a montarla. Ora è nella mia stanza.