Ero in una casa prefabbricata composta di una sola stanza con molte finestre. Guardando al di fuori di una finestra mi accorgo che il tempo sta cambiando e alzo gli occhi in alto, su nel cielo. Scorgo una nuvola nera dalle estremità curiose: era fatta come quando in un vaso pieno di acqua si immerge un colore nero, ad esempio china. Le frangiature che produce la china nell'acqua erano le stesse nel cielo prodotte dalla nuvola. Corro fuori annunciando la tempesta la quale arrivò puntuale facendo uscire fango dagli argini di un fiume vicino. Il paesino in cui mi trovavo non lo conosco: le persone in autombobile si arrischiavano a correre lungo le strade completamente coperte di fango. La luce se ne va all'improvviso e mi accorgo che la casa dove ero viene ad essere mangiata dal fango, sprofondando in esso. Mi rendo conto di essere senza null'altro che i miei vestiti. Guardo di nuovo il cielo perché sento freddo e noto che le nuvole hanno l'aspetto di tanti uomini con il cappuccio e il viso di ghiaccio che guardano in basso. I corpi escono fuori dal cappuccio e si gettano sulla terra. Rumori assordanti, vento, tanto freddo. La gente scappa, il cielo sembra crollare ma un uomo che non vedo, acconato a me, dice di non preoccuparsi. Non è la fine del mondo ma quasi. Mi sveglio alle cinque meno dieci con l'intestino che gorgoglia. Riprendo sonno verso le sette.
mercoledì 29 aprile 2009
lunedì 27 aprile 2009
La mamma di Giulio
Dopo quasi quaranta anni, ho finalmente saputo il nome della mamma del mio amico e compagno di banco delle elementari Giulio. Purtroppo al suo funerale, celebrato stamattina dopo la sua morte per malattia avvenuta venerdì scorso. Sono andato a prendere mia madre e l'ho accompagnata in chiesa: una cerimonia semplice e decorosa. Giulio ha parlato in ultimo con grande emozione. Mia madre, di ritorno dalla comunione ha iniziato a piangere accanto a me ed allora l'ho abbracciata dandole il mio conforto per poi accorgermi che non la toccavo da anni. Non ho mai avuto il coraggio di toccare i componenti della mia famiglia non perché lo ritenessi un'azione vergognosa quanto perchè ho difficltà ad esprimere le mie emozioni e il mio amore nei loro confronti soprattutto con il tatto. Oggi è avvenuto qualcosa di naturale e, al tempo stesso, di bello con questo gesto spontaneo che mi fa ben sperare nei miei rapporti . Ecco perché ricorderò la mamma di Giulio, Fernanda, e perché ricorderò anche un'altra signora dallo stesso nome scomparsa tanti anni fa. Entrambe mi hanno visto crescere e mi hanno trattato come un figlio e, in particolare, la mamma di Giulio era una grande amica di mia madre e scompare anche un pezzo della sua vita. Questo secondo me è un altro motivo del suo pianto. Così come io piansi per il dolore della scomparsa della mia amica Elena accorgendomi che la dipartita degli amici ti fa sentire più vecchio, credo che per mia madre il dispiacere della sua morte sia stato misto a questa considerazione. Prima di uscire per il funerale mia madre mi ha dato gli auguri di compleanno; oggi compio quarantacinque anni: non sono tanti ma neppure pochi. Utile età per prepararsi al futuro. Stasera a cena da mia nipote Elisa, che ne compie sette. Ho in mente di portarle sette rose rosa ma non so se ne avrò il coraggio. Il solo pensiero mi provoca il pianto e non ne conosco il motivo. Forse simbolicamente vedo la crescita come la perdita della felicità: non oso negare che la mia età più bella sia stata dai sei ai tredici anni. Proprio a sette anni conobbi Giulio, in prima elementare, e andavo a pranzo praticamente ogni giorno a casa loro. Per questo ricordo Fernanda e tutta la sua famiglia. A lei dedico questa giornata più che a me. La musica che sto ascoltando è Andvari dei Sigur Ros a complemento del genetliaco.
domenica 26 aprile 2009
Camicie e colleghi
L'altroieri ho fatto un lungo sogno che non ricordo completamente ma ne riferisco solo uno stralcio: ero a casa dei miei e in un armadio ho trovato un sacco enorme, grandissimo. Ho guardato dentro ed ho visto centinaia di camicie, tutte piegate e stirate. Ho riconosciuto camicie che portavo tanti anni fa, addirittura negli anni Ottanta. Ora, è noto che ultimamente porto a mia madre le mie camicie per essere stirate ma questo sogno lo identifico con la mia storia, il mio passato perché ho avuto la sensazione del tempo che passava. Il secondo sogno l'ho fatto oggi pomeriggio: ero molto stanco e mi sono appisolato. Ricordo solo che stavo su un corridoio della mia Città Immaginaria e c'era molta gente. Io ero accompagnato dai miei colleghi e incontravamo un paio di colleghi della precedente azienda in cui lavoravo circa cinque anni fa. Io dicevo che conoscevo benissimo la mia collega ma non era lei, anzi era un uomo e mi ignorava completamente. Poi è stato come se mi avessero preso tutti insieme e mi avessero trascinato a bere in una birreria tedesca. Mi sono svegliato.
giovedì 16 aprile 2009
Riunione di scuola
Il post è contenuto nel blog http://giovanni-croce-private.blogspot.com/ ad accesso non pubblico.
mercoledì 15 aprile 2009
Il passaggio
Stanotte nessun sogno. Andato a letto a mezzanotte e svegliato alle sette meno venti. Partito per S. G. Rotondo ricordo solo alcuni sprazzi di un piccolo incubo: mi inseguiva una specie grande ragno ma con le zampe viscide e la bocca spalancata: sarà stato alto quanto una casa, spingendomi verso una zona che mi sembrava di conoscere: difatti era la stessa viuzza dove qualche tempo fa avevo trovato il passaggio per l'Altra Parte ma senza potervi accedere. Mi sono precipitato ma anche stavolta non sono riuscito ad entrare. Il ragnaccio si è però fermato quando mi ha visto salire la scala la quale, però, non era a pioli. Oggi pomeriggio mi sono addormentato in albergo tuttavia senza sognare ancora o meglio, so di aver sognato ma non ricordo. Stamattina ho incontrato un controllore a casa mia che vagava per il pavimento verso la porta. L'altro giorno uno di questi era situato fuori la porta e non si è mosso da quella posizione per due giorni poi è sparito: era piccolo mentre quello di stamattina era un adulto. Che strano...
martedì 14 aprile 2009
La voce di dentro
Ieri sera cena a casa mia con alcuni amici e mia sorella: ottima lasagna fatta da lei, ottima porchetta portata da Marcus. Sono andato a letto a mezzanotte meno un minuto e mi sono svegliato alle cinque con un caldo bestiale, assetato (forse per le patatine Ikea estremamente salate). Prima di svegliarmi ricordo solo gli ultimi istanti di un sogno lunghissimo: mi trovo in una Sardegna parallela, fatta di case modernissime e strade lucenti. C'è il mare ma non ne sento il rumore; è quasi l'alba. Sto uscendo da un centro commerciale con un vicino di casa di mia madre che abita al terzo piano e gli dico di volerlo accompagnare con la mia auto. Non riesco ad entrare dentro perché un'altra auto rossa mi impedisce l'accesso; esce il proprietario ed io lo riconosco come un vicino sardo e ricco possidente di case e terreni, non esistente in realtà. Il sardo era con la moglie e si avventa verbalmente contro il vicino di mia madre dicendo che prima o poi lo butterà fuori di casa perché vorrebbe guadagnare di più con l'affitto e sa che egli è povero. Poi, sale sulla sua auto e se ne va stridendo con i freni. Noi riusciamo a salire sulla mia macchina ed io mi incazzo terribilmente con questi metodi persuasivi e terroristici al punto che dico al vicino che mi piacerebbe una volta o l'altra che a tutte le persone che si comportanto così gli prenda veramente un cancro, un tumore, così poi capiscono cosa significhi soffrire. Il vicino si stupisce delle mie parole e dice che lui non è d'accordo perché il male non si augura a nessuno in ogni modo. A questo punto io sento nella mia testa, esattamente come fosse una voce reale, viva, modulata la seguente frase "Non dire così. Tu sei buono, ricordalo sempre!" con un volume abbastanza alto e mi sveglio. Rimango qualche attimo in silenzio, il mio orecchio ha ripreso a fischiare all'impazzata (si era calmato un paio di giorni). Il bimbo del piano sopra al mio piange e si sentono i genitori che lo calmano. Attendo dieci minuti, mi alzo, vado a bere, poi a pisciare e torno a letto addormentandomi inquieto fino alle sette meno dieci del mattino. Elementi coscienti: mio fratello sabato scorso ha parlato con il suo affittuario di un problema di parcheggi e non so chi, commentando più tardi, ha detto che gli inquilini sono sempre causa di problemi; il mio vicino del secondo piano parcheggia da sempre la sua auto accanto alla mia: domenica mattina mi impediva di uscire perché mi bloccava con la sua per fare scendere la moglie col figlioletto addormentato. E' stato però molto gentile ma mi ha detto di aver passato la Pasqua non felicemente. Non so perché ma ho pensato che fosse successo alla sua famiglia qualcosa di brutto, un parente che stesse male. Non gli ho chiesto di più.
giovedì 9 aprile 2009
Cacca e ombrello
Mi dicono che c'è stata una nuova scossa stanotte verso le due-due e trenta ma non ho sentito nulla: ero molto stanco ieri sera dopo una giornata passata a viaggiare per Caserta e a montare il mio nuovo scrittoio e la poltroncina bianca. Avevo le mani doloranti perché non possedevo il giravite elettrico, sono uscito per una pizza con P* e tornato a casa verso mezzanotte. Ho dormito di continuo fino alle sei e venti e mi sono svegliato con questo sogno: camminavamo su una via della Città che portava ad un angolo dove si trovava un mercato e una fontanella di acqua corrente io, la mia amica Le* e suo figlio più due persone che non conosco. Io avevo in mano un ombrello di tela damascata rarissima che conteneva al suo interno un'altro tessuto di seta colorata in rosso e che dovevo consegnare ad un ricco signore che abitava dietro al mercato. Decidiamo di prendere due strade separate ma entrambe con gli scalini in discesa: io prendo quella a destra e Le* con suo figlio a sinistra. Ci incontriamo nella strada di sotto che costeggia un campo incolto e decidiamo di fare la strada assieme. Mi accorgo che ho portato via anche un asciugamano bianco soffice soffice dalla casa dove mi trovavo poco prima tutta scura, distrutta e in campagna. Ad un certo punto del percorso il figlioletto di Le* dice che deve fare la cacca e così io consiglio di andare nel campo: il piccolo si tira giù i pantaloncini ed esplode una quantità enorme di cacca tutta addosso a Le* e agli altri, molto liquida. Io prontamente prendo l'asciugamano bianco e lo porgo a tutti che si asciugano; rimango completamente asciutto. Il bambino si riveste e corre in strada, così io lo prendo e lo sgrido dicendo che deve rimanere accanto alla mamma (in quel momento mi sento molto come il compagno di Le*) ed egli ubbidisce. Ho in mano l'ombrello con la tela all'interno ma non posso darlo perché devo portarlo al ricco signore. Così dico a Le* che c'è una fontanella dietro l'angolo e mi dirigo verso di essa. Ricordo anche che c'erano dei contenitori di plastica trasparente un po' sporchi ancora di diarrea che colava e li metto da una parte ma non si reggono e cadono in terra. Elementi coscienti: i contenitori mi ricordano che ieri ho cercato di mettere appoggiati alcuni pezzi del mobile montato e pensavo cadessero perché in bilico; inoltre sapevo che avrei visto Le* stamattina perché ieri l'ho chiamata. L'asciugamano bianco aveva il colore sia degli asciugamanini quadrati che uso sempre quando voglio asciugarmi dopo aver fatto sesso con qualcuno ed anche della copertina della sedia che ho comperato ieri.
Iscriviti a:
Post (Atom)